Storia di Santa Rosalia
Era il 1624 quando nella città di Palermo la peste nera, arrivata in città da alcune navi provenienti da Tunisi (antica “Barbaria”), dilagava tra la popolazione, e invano ci si affidava alle sante protettrici della città e dei quattro mandamenti: sant’Agata, santa Cristina, sant’Oliva e santa Ninfa. Ed è in questi momenti drammatici che la Santa apparve al povero “saponaro” Vincenzo Bonelli (abitante dell’antico quartiere della “Panneria”), il quale avendo perso la propria giovane consorte a causa della peste, era salito sul Monte Pellegrino con l’intento di gettarsi giù dal precipizio, ed è a questo punto che gli apparve innanzi la splendida figura di una giovane donna pellegrina, che dissuadendolo dal suo proposito, lo portò giù con sé per mostrargli la sua grotta e conducendolo nella vecchia Chiesa di S. Rosolea, già allora esistente e gli indica anche la sua “cella pellegrina”, poi scendendo con lui dalla cosiddetta “valle del porco” verso la città, lo invitò a informare il cardinale Giannettino Doria, Arcivescovo della città di Palermo, che le ossa già in precedenza rinvenute da un cacciatore in quella grotta e incastonate nella roccia e che si presumeva potessero essere della Santa eremita e che venivano custodite nella cappella personale del Cardinale, erano veramente sue e che, infine, venissero portate in processione per Palermo.
L’Arcivescovo Giannettino Doria, il 15 luglio del 1624, insieme a tutto il clero e con la partecipazione del Senato e di alcuni cittadini eletti, portò le reliquie in processione, e avvenne che, al loro passaggio, il male regredisse. Palermo in breve fu liberata dalla peste e, in segno di riconoscenza per tanto beneficio, il Senato palermitano si votò alla nuova Santa e decretò che in suo onore, ogni anno, i giorni della liberazione fossero ricordati come il trionfo della Santa, nel frattempo divenuta protettrice della città.
Chi è Santa Rosalia?
Rosalia era nata nella prima metà del XII secolo e apparteneva ad una nobile famiglia, il padre, il duca Sinibaldi, era un vassallo dei re normanni, infatti Ruggero II lo aveva nominato signore della Sierra Quisquina e del Monte delle Rose. La madre, anch’essa nobile di nome Maria Viscardi, era imparentata con la famiglia reale normanna. I genitori scelsero il nome dei fiori rosa e gigli, rosa e lilia, ecco il nome Rosalia, che simboleggiano regalità e purezza. Da ragazza, per la sua straordinaria bellezza, Rosalia fu scelta come damigella d’onore della Regina Margherita, figlia del re di Navarra, nel famoso Palazzo dei Normanni a Palermo.
Il futuro della bella e giovane nobile sembrava segnato, ma quando un giorno avrebbe dovuto incontrare il nobile e coraggioso cavaliere Baldovino, al fine di un nobile matrimonio, ecco che Rosalia guardandosi allo specchio vide l’immagine di Gesù Crocifisso e a questo punto non ebbe dubbi, lasciò il palazzo reale e sembra si sia ritirata in convento presso due monasteri di eremiti benedettini a Bivona e a Santo Stefano di Quisquina, e solo in un secondo tempo avrebbe ottenuto il consenso dall’arcivescovo di Palermo, Ugone, di passare alla vita eremitica.
Rosalia infatti decise di abbandonare anche quelle umili condizioni per trascorrere le sue giornate nella più assoluta solitudine e nella preghiera. Sapeva che quella scelta l’avrebbe costretta a vivere nel crepaccio di una roccia, certa che la solitudine sarebbe stata la custodia della sua purezza. E così, alla morte di Ruggero Il, chiese ed ottenne di poter vivere in eremitaggio nella Sierra Quisquina, feudo del padre.
Si rifugiò in una piccola caverna della Sierra Quisquina. Era un luogo buio e umido, incuneato tra il monte Cammarata e il monte delle Rose, un angolo di terra nascosto tra i boschi che i saraceni lo avevano chiamato Quisquina, dall’arabo «Coschin» che significa «oscuro». Così Rosalia poté trascorrere in assoluta solitudine dodici lunghi anni.
Non è chiara la ragione che indusse Rosalia a lasciare la Sierra Quisquina per isolarsi in un’altra grotta sul Monte Pellegrino, Alcuni sostengono che in seguito a una ribellione dei nobili contro i Normanni tutti i beni della famiglia furono confiscati e perfino il padre di Rosalia il Duca Sinibaldi venne ucciso.
La Celebrazione
Nella prima celebrazione del 1625 le reliquie della Santa vennero spostate dal Palazzo Arcivescovile fino alla cattedrale, ma con il passare degli anni il percorso divenne sempre più lungo e complesso fino a coinvolgere buona parte della città. Alla processione partecipano molte confraternite, la più antica e famosa è la Confraternita di Santa Rosalia dei Sacchi, costituita nel 1635 e formata da barbieri e calzolai (varberi e scarpari).
La confraternita che ha il compito di trasportare l’effige della Santa, prende il nome dall’abbigliamento usato durante la processione, l’effige stessa viene conservata nella Chiesa di Casa Professa. Tutte le confraternite portano un mantello con l’effigie della santa e grossi ceri in processione. Dal 1674 la confraternita dell’Annunziata (Santa Rosalia dei Muratori), ha il privilegio del porto e riporto delle sacre reliquie di Santa Rosalia.
IL Carro
Il Carro trionfale rappresenta la festa, è l’anima del Festino, è la parte centrale dei festeggiamenti. La sfilata per tutto l’antico Cassaro è il momento più suggestivo della festa. Il Carro ha la forma di un vascello, con a poppa una struttura architettonica alla cui sommità è issata una statua di Santa Rosalia nel pieno della sua gloria. Il primo carro, realizzato nel 1686 ha subito diverse evoluzioni nei secoli, il Carro trionfale rappresenta la metafora della voglia della città di trionfare sui propri mali così come la sua “Santuzza” lo fece sulla peste. Oggi il carro staziona nella piazza del Palazzo dei Normanni.
La processione
La sera del 14 luglio i festeggiamenti giungono all’apice con una grande “processione popolare” il Carro, verso le ore 18.00, parte dalla Cattedrale e percorre l’antico asse viario del “Cassaro” (Corso Vittorio Emanuele). Caratteristica è la fermata ai “Quattro Canti”, dove il Sindaco del Comune di Palermo, depone dei fiori ai piedi della Statua di Santa Rosalia gridando “Viva Palermo e Santa Rosalia!” . Il Carro prosegue passando per Porta Felice, giungendo infine a Piazza Marina, dove il vescovo di Palermo da un messaggio alla città. Ripreso il cammino ed attraversato buona parte dell’antico Centro storico il Carro Trionfale rientra in Cattedrale, tra le grida dei confrati che glorificano la “Santuzza”.
A mezzanotte i solenni festeggiamenti si concludono alla “Marina” con i fantastici fuochi pirotecnici .
La Festa
Oggi la manifestazione è divenuta una rappresentazione teatrale a tutti gli effetti, con giochi di luce spettacolari e danze acrobatiche, che rappresentano gli ultimi giorni della peste a Palermo.
Alcuni quartieri simbolo di questa tradizione, addobbati a festa attraverso luminarie, diventano palcoscenici del Festino, in particolare la Kalsa, Monte Pellegrino, e Monte di Pietà. Diversi ed articolati i momenti spettacolari che accenderanno il Festino all’interno della città.
Aspetto gastronomico
Durante le celebrazioni si consumano pietanze che fanno parte della tradizione popolare palermitana, in particolare: “i babbaluci” (lumache bollite con olio, aglio e prezzemolo), “a pasta chi sardi” (la pasta con le sarde) “u sfinciuni” (lo sfincione), “u purpu” (polpo bollito), “u scacciu” (semenza, noci, castagne e mandorle), “a pullanca” (pannocchia di mais”), “u muluni” (anguria).
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