Le arancine sono una specialità gastronomica siciliana. Il nome deriva dalla forma sferica e dal colore, simili ad un’arancia. Si tratta di palle di riso farcite generalmente con ragù, pomodoro e piselli ma come ogni ricetta, abbiamo un numero infinito di varianti.
Preparazione
Scaldare 50 grammi di burro in una casseruola e farvi appassire a fuoco lento 1 cipolla piccola tritata fine. Quando la cipolla inizia a prendere colore, unire 400 grammi di riso e farlo tostare per qualche minuto. Aggiungere circa 1 litro di brodo bollente, alzare la fiamma e lasciare cuocere mescolando di tanto in tanto. Due minuti prima della fine della cottura del riso (che deve essere un po’ al dente), unire 1 bustina di zafferano sciolto in 2 cucchiai di acqua calda. Unire 60 grammi di formaggio grana grattugiato e poi stendere il riso su un piatto e lasciarlo raffreddare. Intanto, bollire 3-4 cucchiai di pisellini (freschi o surgelati) in acqua e sale, scolarli e mescolarli a 1 bicchiere di ragù di carne (asciutto). Tagliare a dadini 100 grammi di caciocavallo fresco. Poi preparare le arancine prendendo in mano una grossa cucchiaiata di riso, in cui si crea un incavo e si riempie con 2 cucchiaini di ragù e un dadino di formaggio. Chiudere la polpetta con un po’ di riso e modellare l’arancina dandole una forma sferica. Alla fine, infarinare le arancine in 3 cucchiai di farina, passarle in 2 uova sbattute e poi in 300 grammi di pangrattato, in modo che si formi un’impanatura spessa e uniforme. Lasciarle riposare per 2 ore al fresco prima di friggerle in olio di oliva ben caldo. Quando le arancine sono dorate, scolarle e passarle su un doppio foglio di carta da cucina.
Preparate il ragù di carne, non lasciare il sugo troppo liquido o troppo denso. Cuocere la pasta e scolarla piuttosto al dente, ultimate la sua cottura in forno con tutti gli altri ingredienti.
Scolate la pasta, ed ancora calda versatevi sopra le uova precedentemente sbattute con un po’ di sale, pepe e parmigiano grattugiato. Mescolare bene ed aggiungere qualche mestolo di ragu’. Mescolate bene, prendete una teglia dalle sponde alte che possa contenere la pasta, disponete sul fondo un po’ di ragu’ ed un po’ di besciamella e fate un primo strato di pasta.
Aggiungete i cubetti di mozzarella, il prosciutto a fettine o a dadini, uno strato di ragu’, uno di besciamella, e spolverizzate con abbondante parmigiano. Ripetete l’operazione finche’ la pasta non finirà, lasciate qualche pezzetto di mozzarella da disporre sull’ultimo strato, infine condite con il ragu’ dopo avere disposto le ultime cucchiaiate di besciamella.
Lasciare riposare la pasta almeno per una mezza giornata. Così facendo tutti gli ingredienti potranno amalgamarsi e conferire il tipico sapore inconfondibile. a questo punto riscaldate il forno a 190-200 gradi, infornate per 20 minuti circa. A cottura ultimata lasciare ancora per 5 minuti dentro al forno spento.
Lavare e tagliare il cavolfiore, farlo cuocere in acqua bollente salata per 10 minuti. Scolare e tenere da parte l’acqua di cottura. Tritare la cipolla e farla appassire in una casseruola con l’olio. Aggiungere i filetti d’acciuga e farli sciogliere. Unire il cavolfiore, i pinoli, l’uvetta ammollata e strizzata e il concentrato di pomodoro, sciolto in un pò ‘acqua. Salare e pepare.
Fare rosolare tutto a fiamma moderata per 5 minuti, versare 1 bicchiere d’acqua di cottura in cui sarà sciolto lo zafferano e fare cuocere per 10 minuti.
Nel frattempo lessare la pasta nell’acqua di cottura del cavolfiore, scolarli al dente e rigirarli nella casseruola con il condimento, se necessario aggiungere 1 mestolo di acqua di cottura.
Lasciare riposare 1-2 minuti, per aggiungere un tocco in più di gusto, aggiungete delle piccole fettine di caciocavallo o di parmigiano.
Lavate e affettate finemente la cipolla. Tagliate a quarti i pomodorini. Spezzettate il basilico.
In una padella, con quattro cucchiai di olio, fate appassire la cipolla a fuoco lento, aggiungete i pomodorini, il basilico, sale e pepe e fate cuocere a fuoco moderato per 10 minuti.
Lessate gi spaghetti in abbondante acqua bollente salata, scolateli al dente, versateli nella padella con il condimento e amalgamate. Serviteli subito.
Il nome di questa pietanza, si deve ad un uccello che ritroviamo nei campi dell’isola chiamata “Beccafico”. Le sarde sono considerate come il pesce più economico, ecco perché da sempre, è stato per lungo tempo il pesce che le famiglie meno facoltose mangiavano con una certa regolarità.
Preparazione
Ingredienti per 4 persone
16 sarde, mediamente 4 a persona, prive della lisca e della testa
pangrattato
1 limone
60gr di uva passa
60gr di pinoli
alloro
1 cucchiaino di zucchero
Prezzemolo
Olio extravergine d’oliva
Sale e pepe
Scaldare in una padella un po’ di pangrattato, circa 9 cucchiai, e aggiungete un filo d’olio. Si cuoce molto facilmente, fate quindi attenzione, mescolandolo continuamente con un mestolo in legno e quando si ottiene un bel colore ambrato, toglietelo dal fuoco..
Versatene due terzi in una terrina e mescolate con l’uva passa i pinoli ed il prezzemolo finemente tritato. Condite con un pizzico di sale ed una spolverata di pepe.
Ora, riempite le sarde con un po’ di pangrattato ed arrotolatele. Bloccate i rotoli di sarde con uno spiedino, mettendone 4, ovvero la porzione per una persona, alternati a delle foglie di alloro.
Disponete quindi gli spiedini con le sarde a beccafico in una teglia leggermente unta. Aggiungete un pizzico di sale e spargete il pangrattato che avevate messo da parte su tutta la superficie.
Spremete il succo di un limone e zuccheratelo con un cucchiaino di zucchero e riponete in forno la teglia. Lasciate cuocere per 15 minuti a 200 gradi.
E’ una pietanza che va mangiata fredda, quindi dopo la cottura, lasciatele riposare. Infine guarnite ogni porzione con delle fettine molto sottili di arance o di limoni.
Per il cuscus di pesce, piatto tipico trapanese, che ogni anno ospita il “cous cous festival”, si può dare libero sfogo alla fantasia.
Mettete la semola in un piatto rotondo fondo e lavoratela con i polpastrelli girando in senso antiorario aggiungendo l’olio di oliva, il sale e l’acqua poca per volta; la semola dovrà raggrumarsi in piccolissime perline perciò non deve essere molto umida. Lasciate riposare per mezz’ora, dopo, rinfrescatela con poca acqua e giratela nuovamente. Passate ora la semola nel cestello della pentola per cottura a vapore, nella parte sottostante mettete il brodo di pesce, mezza cipolla e il prezzemolo in foglie e rimettete sopra il cestello con la semola e lasciate cuocere per 45 minuti. Preparate ora la zuppa di pesce. Fate rosolare bene la cipolla nell’olio, aggiungete una spruzzata di vino, fatelo evaporare, aggiungete il pesce tagliato a cubetti, le spezie, salate, pepate, date una bella mescolata e coprite il tutto a filo con dell’acqua. Fate bollire per 20-30 minuti, girando di tanto in tanto fino a quando il pesce risulterà cotto. Nel frattempo tagliate le verdure a piccoli tocchi e fatele saltare in un po’di olio di oliva fino a quando sono diventate tenere, salatele e fatele poi sgocciolare.
Togliete la semola dal cestello del vapore e mettetela in un piatto fondo da portata capiente e sbriciolate la semola, aggiungete gli ortaggi fritti in precedenza e aggiungete un po’ di sugo della zuppa. Il couscous si serve versandolo su di un grande piatto di portata, formando al suo centro un incavo in cui verserete la zuppa di pesce con un poco del suo sugo, decorate col prezzemolo tritato e servite subito con a parte il sugo della zuppa avanzato.
La cassata, prodotto della pasticceria palermitana, inizialmente considerata come dolce Pasquale, è divenuta con il tempo di consumo comune per tutto l’anno. Il suo nome deriva dal vocabolo arabo “Quas’at”, che significa scodella grande e tonda, e la ricchezza dei suoi ingredienti rispecchia le caratteristiche della cucina saracena, che ama armonizzare sapori contrastanti, come il Pan di Spagna ripieno di ricotta impastata con zucchero, vaniglia, pezzetti di cioccolato e di frutta candita e liquore. La preparazione della cassata, richiede abilità e creatività soprattutto per le decorazioni di cui è provvista.
Preparazione
Preparate un Pan di Spagna e lasciatelo raffreddare.
Passate al setaccio la ricotta freschissima e, con un cucchiaio di legno, incorporate lo zucchero al velo, la vanillina e la cannella del liquore dolce a piacere come del maraschino; lavorate bene il composto fino ad ottenere una crema liscia e soffice.
A questo punto unite alla crema il cioccolato a scaglie, i pistacchi e la frutta candita tagliata a piccoli dadini.
Preparate la pasta reale verde mettendo in un tegame 200 gr di zucchero e 200 ml di acqua. Portate ad ebollizione e non appena lo zucchero inizierà a filare, togliete il pentolino dal fuoco; incorporate 200 g di farina di mandorle, del colorante per alimenti verde e una bustina di vanillina.
Mescolate fino ad ottenere un impasto omogeneo e poi versatelo su di un tavolo di marmo umido. Appena la pasta reale si sarà raffreddata, lavoratela fino a farla diventare liscia e compatta.
Tagliate il Pan di Spagna in orizzontale ricavandone quattro dischi.
Foderate una tortiera dai bordi alti e del diametro di 21 cm, con carta forno o oleata, e disponete un primo disco di Pan di spagna sul fondo; foderate anche i lati con pezzetti di Pan di Spagna e pasta reale verde, avendo l’ accortezza di tagliarli della stessa misura e alternarli, (per il pan di spagna utilizzate uno dei quattro dischi che avete precedentemente tagliato) servendovi della crema di ricotta o di gelatina di albicocche come collante per farli aderire alla carta oleata.
Versate nella tortiera metà della crema di ricotta, livellatela bene, e poi copritela con un’altra fetta di Pan di Spagna; ripetete l’operazione con l’altra crema rimasta e chiudete con l’ultimo disco di Pan di Spagna.
Ponete lo stampo in frigorifero affinché la crema si rapprenda bene.
Quando la torta sarà ben fredda estraetela dal frigorifero, toglietela dallo stampo capovolgendola su di un piatto e apprestatevi a ricoprirla interamente con una glassa bianca preparata unendo dell’acqua semplice o dell’acqua di fiori d’arancio con dello zucchero al velo e mischiandoli fino ad ottenere una consistenza densa ma colante. Lasciate poi indurire la glassa e quindi guarnite la cassata con frutta candita e zuccata (zucca candita) tagliata a strisce sottili.
Per prima cosa preparate la crema di ricotta. Versatela in una ciotola, mescolatela con 100 g. di zucchero, e poi passatela al setaccio per ottenere una crema liscia e omogenea. Fatela riposare in frigorifero fino al momento di usarla.
Mettete in una casseruola 2,5 cl. di acqua, un pizzico di sale, un cucchiaio di zucchero ed il burro. Portate ad ebollizione, mescolate e poi versate la farina. Lavorate energicamente fino a che la pasta si stacchera’ dalle pareti della casseruola.
Togliete la casseruola dal fuoco e fate raffreddare la pasta. Aggiungete un uovo e lavorate la pasta per farlo incorporare completamente, procedete nello stesso modo con le altre uova.
Mettete sul fuoco un tegame o una padella dal bordo molto alto con abbondante olio (e’ importante che l’olio raggiunga una buona altezza); quando sara’ caldo gettatevi delle cucchiaiate di pasta e fate gonfiare e dorare. Scolate le sfinci e mettetele a perdere l’eccesso di unto su carta da cucina.
Aprite le sfinci con un coltello e farciteli con la crema di ricotta, ricopriteli con ancora un po’ di crema, e decorate con pezzetti di canditi, gocce di cioccolato e pistacchi. E’ bene, farcirli solo prima di gustarli.
Dire Corvo è dire Sicilia in oltre trenta paesi nel mondo. L’azienda di Casteldaccia, apripista del rinnovamento enologico dell’Isola, ancora una volta rinsalda il legame con la sua terra proponendo una serie di vini dal gusto moderno che non trascurano il rispetto per le tradizioni. Che significa soprattutto la valorizzazione dei vitigni autoctoni, punto di forza dell’intera produzione. L’ Azienda, infatti, per i propri vini, spazia dalle colline trapanesi all’Etna, passando per le campagne nissene del centro dell’Isola. Tre linee di produzione: oltre ai vini Corvo, l’ azienda produce anche quelli a marchio Duca di Salaparuta e Florio.
La Duca di Salaparuta è una casa vinicola che nasce nel 1824,il fondatore è Giuseppe Alliata, principe di Villafranca e duca di Salaparuta. Grande intenditore di vini e uomo di grandi idee, il duca Giuseppe inizia a vinificare in proprio le uve Inzolia, provenienti dalla sua fattoria in contrada Corvo di Casteldaccia per farne un prodotto elegante da offrire agli illustri ospiti che frequentano il suo palazzo, Villa Valguarnera. Inizia così la grande storia della casa vinicola Duca di Salaparuta, un esempio unico e irripetibile nella grande storia dell’enologia italiana e mondiale. Oggi come allora i vini Duca Salaparuta rappresentano una selezione completa del gusto del bere più evoluto.
La Casa Vinicola Calatrasi S.p.A. fu fondata nel 1980 da due fratelli, Maurizio e Giuseppe Miccichè, che, ereditando dal padre una forte passione per il mondo del vino, decisero di dar vita ad un’azienda che oggi è tra le più note non solo in Italia ma anche nel resto del Mondo. La cantina è ubicata in Sicilia, immersa tra le verdi colline della Valle dello Jato, nella località di San Cipirello, a sud di Palermo; essa è perfettamente inserita in un territorio ricco di storia, dove la natura, ancora incontaminata, regala uve uniche per le loro caratteristiche oltre che di alto livello qualitativo.Immersa tra le verdi colline della valle dello Jato, in cui storia e natura s’intrecciano per dar vita ad un paesaggio dal fascino unico, le Cantine Calatrasi aprono le loro porte a tutti coloro vogliano vivere un esperienza indimenticabile in uno scenario ancora incontaminato. Il tutto sarà accompagnato da una tradizione culinaria che senza la presenza del vino, perderebbe sicuramente almeno la metà del suo godimento e della sua importanza, e poiché la gastronomia può anche arrivare a livello di arte, certamente il vino merita il ruolo del Direttore d’Orchestra. Molteplici visite potranno essere organizzate nella Valle dello Jato arricchite da delizie gastronomiche e degustazioni dei migliori prodotti vinicoli. La Casa vinicola viene fondata nel 1931 dalla famiglia Buffa con lo scopo di produrre e commercializzare vini tipici della Sicilia.
Al di sopra di tutto la Pellegrino ha sempre puntato sul primato della terra: ne sono testimonianza tangibile le sue aziende agricole, estese circa 150 ettari (Gazzerotta, Kelbi, Rinazzo, Triglia Scaletta), collocate nelle zone più vocate della Sicilia Occidentale e che costituiscono un vero e proprio caleidoscopio di suoli, microclimi e varietà di viti coltivate, dalle quali proviene la base della produzione più pregiata: a queste aziende sono stati destinati investimenti per il reimpianto di alcuni cloni selezionati di uve autoctone e internazionali. Fondata nel 1880 grazie allo spirito imprenditoriale di una famiglia di notai con la passione per la viticoltura, la Pellegrino riuscì, nel volgere di pochi anni, ad affermarsi come una delle più floride e importanti industrie enologiche di Marsala, rimanendo tale fino ai nostri giorni. In tutti questi anni la storia della famiglia e quella dell’azienda hanno sempre seguito percorsi paralleli e il patrimonio di esperienza di vigna e di cantina ha trovato continuità in tutte le generazioni che si sono avvicendate alla sua conduzione.
Donnafugata nasce in Sicilia dall’iniziativa di una famiglia che conta oltre 150 anni di esperienza nel vino di qualità. Giacomo Rallo e la moglie Gabriella, con i figli Josè e Antonio portanoavanti un progetto imprenditoriale che punta alla cura dei particolari e mette l’uomo al servizio della natura per produrre vini sempre più rispondenti alle potenzialità del territorio. L’avventura di Donnafugata prende avvio nel 1983 dalle storiche cantine della famiglia Rallo a Marsala e nelle vigne di Contessa Entellina, nel cuore della Sicilia occidentale; nel 1989 Donnafugata giunge sull’isola di Pantelleria dove inizia a produrre vini naturali dolci.
Le cantine storiche della Carlo Pellegrino & C. Spa proprietario del marchio Duca di Castelmonte, nascono proprio al centro della città di Marsala, su una superficie di oltre 30.000 mq. con una capacità di circa 200.000 hl., di cui oltre 40.000 hl. in rovere. La moderna linea di imbottigliamento, installata nel 1999, con la sua capacità produttiva media di 10.500 pezzi/ora rende le cantine storiche tecnologicamente all’avanguardia, pur mantenendo il loro fascino immutato che persiste dal 1880.
Si presentato così Salvatore e Vinzia Di Gaetano proprietari di Firriato nel loro sito Internet: osiamo dire che c’è stata, in Sicilia, una scoperta quasi antropologica del territorio, di cui i vini sono anche espressione. Il vento e il sole sono gli elementi naturali su cui il viticoltore fa affidamento per una buona produzione delle uve di qualità. Ed è nel cuore della provincia più vitata d’Italia, che nasce a metà degli anni ’80 la Casa Vinicola Firriato. La tradizione più antica di questa azienda è la sua giovinezza e i produttori, Salvatore e Vinzia Di Gaetano, sintetizzano la capacità di fare impresa in tenacia e caparbietà. Sono convinti, infatti, che riuscire ad utilizzare le risorse di un territorio che naturalmente risulta essere uno dei più vocati del mondo per la coltura della vite, può portare alla produzione non solo di uve di alta qualità, ma anche alla produzione di grandi vini.
Nasce nel 1833 a Marsala ad opera dell’imprenditore Vincenzo Florio che, dopo aver acquistato un terreno in un tratto di spiaggia situato fra i bagli di Ingham-Whitaker e di Woodhouse, vi fece costruire uno stabilimento per la produzione di vino Marsala. I primi anni della cantina furono molto difficili, con scarsi guadagni e poche prospettive. Florio potè resistere solo grazie alle sue ingenti risorse e alla fama della famiglia, all’epoca tra le più ricche d’Italia. Gli scarsi guadagni derivavano dall’eccesso dell’offerta rispetto alla domanda del mercato, quasi completamente estero, ed inglese in particolare. La commercializzazione era iniziata 1796, prima con Woodhouse e poi con altri commercianti come Ingham & Withaker, che ne avevano consacrato la diffusione a livello internazionale già alla fine del XVIII secolo. Florio fu il primo produttore ad etichettare il Marsala con il nome di un produttore italiano. Successivamente, grazie alla flotta di navi mercantili posseduta dalla famiglia Florio e alla sua organizzazione commerciale a livello internazionale, il Marsala divenne il vino da dessert più servito sulle tavole della borghesia europea e cominciò ad essere esportato anche negli Stati Uniti. Nel 1853 la produzione del Marsala ammontò a 6.900 botti[3] di cui il 23% prodotto dalle cantine Florio, il 19% dalla Woodhouse ed il 58% da Ingham & Whitaker. Successivamente venne rilevata l’azienda ed il marchio Woodhouse e Florio divenne il maggior produttore di vino Marsala.